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La cronaca non va confusa con la storia, essendo questa un’attività che necessita di strumenti metodologici, valutazioni critiche e interpretazione dei fatti non influenzati dalle ideologie. Ma dà comunque un affresco, un quadro, spesso vivo, pulsante, anche conflittuale, ma utile per capire la complessità della realtà, il clima di una comunità, di un periodo e la percezione che i contemporanei ne avevano.

Articoli di cronaca locale 1900-1912
a cura di Aldo Tumiatti 

Anno 1912

Corriere del Polesine 16 aprile 1912. Avvisaglie di lotte agrarie nel Basso Polesine
“L’epidemia scioperaiola del Ferrarese pare stia scavalcando il Po e venga ad ammorbare la docile laboriosità delle masse lavoratrici dell’estremo Basso Polesine. Resoconto testuale della discussione avvenuta tra le parti e della conseguente rottura delle trattative”.
Estratto verbale. “Nella sala Maggiore del Municipio di Ariano Polesine per invito del Sindaco avv. Pavanati, oggi 12 aprile 1912 si sono riuniti per la rappresentanza dei proprietari: il comm. Carlo Bisinotto, Leone Vianello, Angelo Rocchi, Pericle Avanzo, Leone de Lotto, Demetrio Marangoni, De Carli, Padovani Luigi, cav. Alessandro Sartori, Ernesto Bosello, Luigi Agodi, Carlo Pavanini; per la rappresentanza dei lavoratori i signori Sponton, Coltro, Spadon, Enrico Meledandri ed altri. Assiste, dietro invito, il Commissario Distrettuale di Adria Dottor Condulmer, rappresentante del Governo (vice Prefetto). Il presidente del convegno, l’avv. Pavanati, fa presente che i rappresentanti dei proprietari di Ariano e Rivà sono alle prime trattative, mentre i lavoratori di Taglio di Po affermano che, in un precedente incontro, la controparte aveva accolto la pregiudiziale della preferenza esclusiva della mano d’opera organizzata, per ciò invita il Sindaco di Taglio di Po a testimoniare quanto fu concordato, avendo pur egli partecipato alla riunione”.
Egli afferma di “aver inteso parlare di preferenza alla mano d’opera locale”, ma poi gli parve che i proprietari avessero accettato senza discussione la preferenza della mano d’opera organizzata. Leone Vianello, (persona considerata al di fuori di ogni sospetto) non appartenente all’organizzazione agraria, smentisce che si sia parlato in sua presenza di preferenza esclusiva alla mano d’opera organizzata. Dichiara di essere pronto a discutere con i colleghi un patto ispirato a larghezza di miglioramenti economici e di non accettare la pregiudiziale perché rappresenterebbe un illiberale monopolio corporativistico. Pavanati continua ad interrogare i proprietari presenti alla riunione di Taglio di Po. Pericle Avanzo afferma di essere impegnato per la clausola della mano d’opera locale; così intendevano l’accordo De Carli e Padovani, in rappresentanza dell’amministrazione Papadopoli. Non così afferma Luigi Agodi, agente dei signori Sullam, non appartenente ad alcuna associazione agraria: secondo lui i colleghi annuirono a questa proposta: nessun aumento di mercedi o percentuali, piuttosto accordare ai lavoratori qualunque preferenza, compresa la consegna e la divisione delle terre esclusivamente ai sindacalisti.  Reagisce vivacemente Vianello, chiedendo sia messo a verbale che non era presente alla discussione del quesito pregiudiziale e che non permetteva a nessuno di dubitare della sua parola. La sua versione è confermata dai signori Avanzo, Marangoni, De Carli, Boetner.
Il segretario della Lega di Taglio di Po afferma di aver ottenuto non la preferenza per la mano d’opera locale, ma per quella organizzata, perché si verifica spesso che i padroni danno maggior quantità di terreno e compartecipazione ai disorganizzati, rimanendo altri disoccupati. Solo la lega ripartirebbe equamente. Non possono rinunciare neppure per sogno alla pregiudiziale, e che la proposta fatta dai proprietari di concedere miglioramenti economici è da tenersi in nessun conto di fronte al valore sociale e morale della preferenza sindacale” cercata dai lavoratori”.
Carlo Bisinotto dice di non aver dato facoltà ad alcuno di accettare pregiudiziali di sorta. L’avv. Angelo Rocchi riepiloga: pur ammessa la buona fede del Sindaco e di quella dell’Agodi, nessuno oserebbe dubitare della categorica precisa versione data dal Vianello e dagli altri 5 colleghi. Ad ogni modo dichiara a nome dei colleghi di Ariano proprietari e conduttori di fondi, di essere pronto a discutere sul terreno economico, ma di non poter cedere la nostra libertà di conduzione dei campi in mano ai lavoratori.  Il Segretario della Camera del Lavoro di Donada Enrico Meledandri dice che dopo il discorso del Rocchi ogni discussione diventa oziosa, perché i lavoratori non rinunceranno mai alla pregiudiziale; presenta un patto stipulato da vari proprietari di Codigoro ove in parte è accettata la pregiudiziale della preferenza alle organizzazioni leghiste, col beneplacito di un funzionario della Monarchia, il Prefetto di Ferrara.
La seduta viene rimandata alle ore pomeridiane; i membri di ogni commissione sono ridotti a tre. L’avv. Pavanati propone di propria iniziativa un emendamento così concepito: “La preferenza sarà data alla mano d’opera organizzata, facoltizzati i richiedenti a sostituire anche con lavoratori non organizzati coloro che non fossero idonei nei lavori da eseguirsi” che non viene accettata dalle parti. La seduta è tolta.
Conseguenze, secondo il Corriere, se fosse stata approvata la pregiudiziale…
“- Le leghe irreggimenterebbero tutta la mano d’opera; chi non ne condivideva i principi sarebbe stato costretto ad emigrare o a morire di fame.
- Gli operai hanno diritto di disporre delle proprie braccia come della propria coscienza.
- Si vuole ad ogni costo tentare l’esperimento sindacalista di Alceste de Ambris e cioè: tenere la borghesia terriera sotto l’incubo di ripetuti e incalzanti conflitti onde essa finisca per abbandonare il pesante fardello della proprietà nelle mani dei lavoratori. (1) I sindacalisti portano in alto Luigi Agodi, ma si vede chiaro come gli estremi s’incontrino: da una parte la prepotenza che stringe in un imbottigliamento la proprietà, dall’altra la debolezza, basata sul calcolo fuggevole di tornaconto utilitario”.

(1)    Alceste de Ambris (1874-1934) è stato sindacalista, giornalista e politico, fondatore e maggior esponente del sindacalismo rivoluzionario italiano, in opposizione ai socialisti riformisti.

Corriere del Polesine 17 aprile 1912. Movimento inconsulto delle Leghe di Ariano
“Le terre dell’isola di Ariano, dopo l’attuazione della bonifica e le radicali trasformazioni introdotte dai privati, sono tra le più fertili del Polesine. Quei proprietari, nell’intento di prevenire ulteriori agitazioni, avevano spontaneamente migliorato le percentuali sui prodotti elevandole al 15% sul frumento e al 30% sul frumentone ed a 60 centesimi per ogni quintale di bietole. Malgrado ciò, i capilega hanno pensato di reclamare la preferenza alla mano d’opera organizzata (il che significa l’istituzione di un ufficio di collocamento di classe). Al rifiuto dei proprietari, i capi lega stimolano gli operai allo sciopero. Costoro confidano sulla debolezza dell’autorità e sulle intimidazioni e violenze, mentre gli operai individualmente desiderano tornare al lavoro, sufficientemente retribuito non essendo inferiore alla mercede di nessun altro paese”.

Corriere del Polesine 22 aprile 1912. L’accordo fra agricoltori e lavoratori sembra raggiunto
“L’esito delle laboriose trattative che ebbero luogo sabato sera in Adria fra le commissioni degli agrari e dei lavoratori dell’isola di Ariano per la discussione del patto agricolo è stata la vittoria del buon senso. È stata accantonata la spada di Damocle della pregiudiziale. All’appianamento di questo dissidio hanno concorso due uomini di singolare buon senso: l’avv. Rocchi e il Commissario Distrettuale di Adria dott. Condulmer. Gli agrari del Basso Polesine hanno dimostrato di avere coscienza e dignità. Enrico Meledandri (capo del sindacalismo rivoluzionario Basso polesano avente sede nella Camera del Lavoro di Donada) può spedire le sue pregiudiziali nei conciliaboli svizzeri di Losanna rimuginando con Alceste de Ambris”.

Corriere del Polesine 24 aprile 1912. Situazione grave nell’isola di Ariano
“Ci telefonano da Ariano il 24 alle ore 12.
Lo sciopero agrario si aggrava. Il contegno dei capilega e dei leghisti di Rivà e di Ariano è stato sleale: essi si erano formalmente impegnati verso il Sindaco avv. Pavanati di desistere dallo sciopero fino alla venuta del Commissario di Adria che avrebbe dovuto ratificare l’accordo già avvenuto per Taglio di Po.
Ci telefonano da Ariano il 24 alle ore 14.
Nella zona dello sciopero continuano le violenze degli scioperanti. Squadre di leghisti invadono i cascinali obbligando a forza tutti i bovai a lasciare le stalle. Stanotte fu preso d’assalto il cascinale ove si trovavano 5 boari, di proprietà del sig. Luigi Rocci. Uscito e presso sassate, impugnò il fucile deciso a rispondere a dovere. I leghisti si armarono di tridenti anch’essi, minacciando seriamente il proprietario del fondo.
Ci telefonano da Ariano il 24.
I proprietari aderenti all’Associazione Agraria si radunarono oggi per deliberare la condotta da tenere di fronte ai sobillatori dei lavoratori e le misure da prendersi contro gli attentati alla proprietà e alla libertà del lavoro.
Ci telefonano da Ariano all’ultima ora.
L’atteggiamento degli scioperanti è sempre più minaccioso. I carabinieri sono insufficienti. Nella notte passata i leghisti hanno usato violenza anche nella proprietà del sig. Paolo Gaffarelli, dove hanno portato via un bovaio ammalato, trascinandolo alla sede della lega. Il delegato di P.S. ancora stamane non sapeva chi fosse il violentato e non lo saprà mai se aspetta che glielo dica la lega alla sede della quale egli si è recato invitando i violentanti ad alzare la mano!”.

Corriere del Polesine 25 aprile 1912. Proclamato lo sciopero ad oltranza
“Lo sciopero perdura. Proprietari, castaldi e pochi bovai fedeli accudiscono al governo del bestiame. L’autorità ha in parte predisposto la tutela della libertà del lavoro, e Condulmer. Commissario Distrettuale, recatosi ad Ariano, stava per convincere quei lavoratori del dovere morale di uniformarsi al concordato di Taglio di Po, ma i leghisti di Rivà, radunati in assemblea straordinaria, decisero lo sciopero ad oltranza tra grida e canti bellicosi, fissati come sono nella pregiudiziale esclusiva della mano d’opera organizzata.
La ratifica del patto di Taglio di Po è avvenuta nel Gabinetto del Commissario Distrettuale che rappresenta l’autorità, con le commissioni dei proprietari, composta dal commendator Bisinotto, dall’avv. Angelo Rocchi, Tito Boetner, cav. Alessandroi Sartori, Pericle Avanzo Leone De Lotto, Demetrio Marangoni e A. Poggiolini per l’agraria di Rovigo. Rocchi afferma che sarebbe indecoroso portarsi in Ariano e discutere con chi ha già rotto inconsultamente l’armistizio. Viene lasciata completa libertà di azione alle Sezioni agrarie di Rivà e di Ariano, dove le leghe “hanno fatto un colpo di testa” abbandonando con mala fede le stalle”.

Corriere del Polesine 26 aprile 1912. Intimidazioni ai non scioperanti
“I capilega fanno assegnamento sulle intimidazioni e violenze per prolungare lo sciopero. Hanno condotto alla lega, durante la notte, con minacce coloni e bovai benché abbiano tentato di opporsi. Perfino un bovaio ammalato non trovò pietà presso l’orda notturna dei leghisti: fu rilasciato dopo che il medico constatò che non era malattia simulata! Le Autorità “dovrebbero tutelare meglio le persone e la libertà del lavoro, dovrebbero vigilare particolarmente la lega di Rivà, ammaestrata alle intimidazioni da un capolega prepotente e incolto, ma astuto come la volpe”. L’Associazione provinciale fra proprietari e fittavoli si tiene pronta ad appoggiare l’invio di lavoratori dal di fuori, che gli agricoltori certo si procureranno. Se i leghisti si ostineranno a continuare lo sciopero, peggio per loro: resteranno senza lavoro e le terre le coltiveranno gli estranei”.

Corriere del Polesine 27 aprile 1912. Situazione invariata ad Ariano
“Piccolo episodio di coercizione alla libertà di lavoro avvenuto ieri: in località Goro la ronda leghista intimò a tre bovai di portarsi dal capo tribù, il capolega di Rivà, e farsi, come dicono, marcare (iscriversi alla lega) malgrado uno di questi non se la sentisse di fare 15 chilometri di andata e altrettanti di ritorno pedibus calcantibus (a piedi). I lavoratori si aggirano attorno ai cascinali malinconici e, interrogati, rispondono con una parola imparaticcia: pregiudiziale! All’alba di stamane sulla sponda sinistra del Po si vedevano al lavoro per le verdi campagne di Taglio frotte di uomini e donne sereni intonare canti: alla destra invece, accigliati, torvi, con le mani a penzoloni girovagavano con aria di sciupata ostentazione gruppi di avventizi arianesi”.

Corriere del Polesine 2 maggio 1912. Ad Ariano i crumiri sostituiscono gli scioperanti
“Lo sciopero continua. Ieri furono introdotte le squadre di liberi lavoratori di Villafora e Bagnolo. Gli scioperanti si portarono in massa loro incontro, ma il contegno energico del delegato di P.S. Di Mizioe dei carabinieri rese vano ogni tentativo di ribellione. Si riscontrò appena un lieve incidente, le solite comuni grida e spinte. Nelle stalle ora si accudisce al bestiame. La sospensione dei lavori in campagna non dà preoccupazioni. Vari bovai, venuti a noi a causa della forzata disoccupazione, sono stati riaccettati, altri sostituiti. Mantenendo tutelata la libertà di lavoro, le parallele si incontreranno e col tempo fiorirà il ramoscello d’’olivo. Guardiamo solo, ora ai solchi e ai campi fiorenti promettentissimi di prossimo raccolto”.

Corriere del Polesine 6 maggio 1912. Mancato componimento dello sciopero di Ariano
“Sabato pomeriggio (4 maggio) al Commissariato di Adria vi fu la quarta riunione tra le due commissioni rappresentanti i conduttori di fondi ed i lavoratori. Erano presenti: il R. Commissario dott. Condulmer (rappresentante del Governo), l’avv. Pavanati, sindaco di Ariano, il cav. Angelo Rocchi, il comm. Bisinotto, il cav. Alessandro Sartori, Leone De Lotto, Ernesto Bosello, Luigi e Tito Boetner, Marangoni Demetrio, Trevisan Francesco, Pericle Avanzo, Carlo Pavanini, A. Poggiolini dell’Agenzia provinciale, Enrico Meledandri della Camera del Lavoro di Donada e diversi lavoratori di Ariano e Rivà. Trattativa protratta ad ora tarda. Cause del mancato accordo: la rappresentanza delle leghe di Rivà ed Ariano non volle rimanere nel puro ambito del miglioramento economico, ma domandava: a) l’istituzione di una Commissione mista (lavoratori – proprietari) che sorvegliasse l’applicazione imparziale dei patti e l’equa distribuzione dei terreni; b) limitazione all’uso delle macchine; c) immediata riforma del patto bovai ed obbligati, d) non dar corso ad alcuna delle disdette individuali date ai bovai ed obbligati. Con queste improvvise richieste, che si allontanavano enormemente dalle precorse intelligenze, quando si era indetta la riunione, la divergenza si complicò maggiormente. Il Commissario, che s’era adoperato per smussare certe angolosità, dichiarò di disinteressarsi della questione rimanendo assolutamente neutrale ed estraneo. Le commissioni si sciolsero”.

Corriere del Polesine 14 maggio 1912. Ad Ariano lo sciopero continua
In prima pagina: “Lo sciopero di Ariano composto, vertenza appianata. Il nuovo patto durerà cinque anni. Gli scioperanti hanno già ripreso il lavoro”.
All’interno: “Telefonano all’ultimo momento. Parlando della situazione dello sciopero, si confonde l’accordo avvenuto completamente a Rivà con l’incerta situazione di Ariano. A Rivà tanto i bovai che gli avventizi hanno firmato i contratti individuali legali coi singoli proprietari con la clausola che in caso di sciopero i lavoratori perdessero ogni diritto ai successivi raccolti. Ad Ariano invece i soli bovai hanno ripreso coi medesimi patti legali di Rivà e Taglio il lavoro, ma la categoria degli avventizi per il maneggiamento dei capilega si ostina a non voler firmare le stesse condizioni delle zone vicine lasciando trapelare la chiara intenzione di rinnovare lo sciopero per la prossima mietitura. I proprietari quindi sono decisi di non dare al alcuno le terre a compartecipazione se non si ottemperano i deliberati di Rivà”.

La Lotta proletaria n. 21, 25 maggio 1912. L’agitazione agraria ad Ariano. Né vinti né domi
La vittoria di Pirro
La grande lotta proletaria che si è svolta per 18 giorni nell’isola di Ariano, non ha avuto precisamente l’esito di cui menavano vanto gli agrari. I lavoratori non sono stati sconfitti per il semplice motivo che l’agitazione non ha avuto un componimento. Essa è stata semplicemente rimandata. Ce ne dispiace per le laboriose e grasse digestioni degli agrari. Gli operai di Ariano sono disposti a dar loro dei seri grattacapi. Il fine padronale, intanto, di demolire l’organizzazione, è fallito. Invano, in combutta con l’autorità di pubblica sicurezza, tutte le intimidazioni e le insidie furono usate contro gli scioperanti; invano si sono minacciati gli avventizi di negar loro terre e lavori, se non firmavano individualmente il patto di Taglio di Po, con la scadenza fra cinque anni: i nostri lavoratori hanno saputo dimostrare di quanto orgoglio e fierezza di classe si alimenti il loro movimento! Le terre sono state concesse, il patto non è stato firmato! Il Corriere del Polesine perciò, filosoficamente tace. Fra le file dei proprietari la situazione la situazione deve sembrare poco gioconda: i danni rilevanti del passato sciopero non sono ancora liquidati che già appare la prospettiva di un’altra più energica agitazione.
Ma noi non sappiamo che cosa farci. Gli agrari si contentino e ringrazino Poggiolini, che si smidolla a fare l’avvocato delle cause sballate, e l’ironista impenitente e provocatore; innalzino osanna agli agrari, all’avv. Bocchi, povero parroco di una farmacia di borgata feudale. Oh, povere chimere accarezzate nelle notti insonni! L’organizzazione è più vigile, è più attiva, è più vibrante di prima!
Bilancio morale: malinconie! Bisogna dire che il programma agrario, creato dall’insidia e per l’insidia, si aspettava ben altro trionfo. Dal famoso convegno di Adria, in cui gli agrari dell’isola di Ariano, con l’omertà dell’Associazione provinciale, stabilirono che i soci di Taglio negassero la preferenza già data, alla malafede dimostrata in tutte le trattative, alle violenze perpetrate contro gli scioperanti: il bilancio morale degli agrari nell’attuale agitazione rimane un monumento di disonestà politica, ma nel fatto discretamente passivo. In una cosa i proletari sono stati sinceri: nel dimostrare la propria bile reazionaria, nell’invocare misure liberticide contro gli scioperanti, nel dare esempio a tutta Italia di essere i difensori meno illuminati, più gretti e più retrivi del privilegio di classe. Mai, come nella bocca di quei protervi (arroganti), il diritto di proprietà apparve in una luce più fosca.
Dimostrare ad essi la necessità di una più equa distribuzione di terre, far comprendere quanto sia brutale e criminoso l’uso delle macchine quando le piazze rigurgitano di affamati e di disoccupati, significa provocarli al delirium tremens (psicosi con tremore e allucinazioni), gettarli in preda ad uno sforzo delirante di rabbia reazionaria e antisociale. Bisognerebbe penetrare nell’animo degli agrari per comprenderli degnamente. Molti hanno versato lacrime di commozione per la concessione offerta dai proprietari della preferenza alla mano d’opera locale. Piano, o santa ingenuità proletaria! Quella concessione era anche un’altra maligna astuzia per rovinare il movimento operaio. Se qua la preferenza fosse stata accettata immediatamente da tutte le leghe dell’isola, che mai sarebbe avvenuto dei lavoratori di Taglio, che hanno bisogno per mancanza di terre locali, di recarsi ad Ariano ed a Rivà per lavorare? Capiscano i buoni lavoratori di Taglio di Po le male arti dei loro padroni. Di questi fu intento staccarvi dai compagni di fatica e di lotta, porre leghe contro leghe, per stringervi maggiormente in un cerchio di fame e di dolore. Gino Piva ben disse, nel numero unico del primo maggio, trattarsi di una agitazione contro cannibali. Ma possono fare veramente paura ai forti lavoratori di Ariano le piccole anime dei loro proprietari?  Un patto, semplicemente un patto per tutte le categorie di operai e di lavoratori; esclusa anche la preferenza alla mano d’opera organizzata che, dopo la risoluzione di Taglio di Po, era impossibile ancora sostenere. I proprietari affermano invece di voler concedere il patto di Taglio di Po puro e semplice, quasi che, dopo che essi decisero di trattare lega per lega, i lavoratori di Ariano avessero il dovere di sottostare ad un unico patto fissato dagli agrari per l’intera isola! E in che maniera volevano imporre quel patto? Non più attraverso l’organizzazione ma con la firma individuale dei lavoratori. Vero e proprio tentativo di disgregamento dell’organizzazione che il nostro proletariato ha saputo respingere come si doveva, tentativo che pone in luce dinanzi al proletariato polesano la bieca anima dell’Associazione provinciale agraria, e di quanta energia bisogna far uso per combattere un nemico così astioso.
I lavoratori di Ariano possono perciò chiamarsi maestri. Lo sciopero generale proclamato il 10 aprile è una delle pagine più fulgide di solidarietà e forza operaia. I campi vennero disertati, le stalle abbandonate.
Alla cura del bestiame si dedicarono i proprietari e i familiari, disperatamente risoluti ad insegnare ai villani che sapevano e potevano fare senza di loro. Ma i villani sorrisero ironicamente vedendo i propri padroni sudare e sbuffare come bufali. E mentre il fieno ingialliva, e le terre attendevano penosamente di essere dissodate dai lavoratori, nel sindacato e nell’animo degli scioperanti regnava la piena solidarietà”.

La Lotta proletaria n. 21, 25 maggio 1912. E. Meledandri sull’agitazione agraria ad Ariano
“La pentola comunista ogni mezzogiorno, mercé le cure, l’attività, l’amore di Barchetta, di Campagnoli, e di Zanella, non è mai   mancata a dare alimento e buon umore alla massa. Quante risate, quanti fieri propositi mentre le scodelle si empivano di appetitosa minestra! Non v’era cosa più dolce e commovente di quello spettacolo, in cui i deboli si fortificavano e gli incerti si rassicuravano. Se si avesse voluto, lo sciopero sarebbe durato eternamente.
La neutralità governativa
Ma i lavoratori che scioperavano per motivi strettamente economici, per criteri di chiara giustizia sociale, non ebbero contro solamente gli agrari. Naturalmente la pubblica sicurezza, con a capo il Commissario di Adria, non mancò di dimostrare la sua preferenza. Indisturbati, gli agrari poterono armarsi di fucile, sparare contro gli scioperanti, tenere un contegno spavaldo e provocatore, mentre invece avvenivano parecchi arresti di operai senza vero e giustificato motivo. Poi nelle trattative non più gli agrari venivano in confronto con i lavoratori, ma cacciavano innanzi il funzionario governativo di Adria, le di cui dichiarazioni, il 12 aprile in Municipio, che imponevano ai rappresentanti operai di far riprendere il lavoro, e suscitarono la meritata reazione da parte nostra, che non mancammo di far capire al messere che usciva dalle sue competenze e che non si era tipi di sopportare le sue escandescenze questurinesche-agrarie. Ma codesto dilettante avvocato, che fu visto andare nelle automobili di proprietari di Ariano nel tempo dell’agitazione, non si limitò a ciò; ad Adria, in un’altra adunanza tra noi e i proprietari, chiamati nel suo ufficio particolare i presidenti della lega di Rivà e di Ariano, imponeva loro di firmare una carta in bianco, se non intendevano di venire arrestati! L’egregio uomo decisamente aveva perduto la testa! E non giova narrare di bovai chiamati in nostra assenza dai delegati in ufficio e, attraverso intimidazioni, trascinati al lavoro con a fianco i carabinieri. Quando si dice la neutralità governativa! Cessato lo sciopero, mica per esaurimento, ma per deliberazione tattica delle assemblee, delegati e commissario hanno essi girato le fattorie e le case invitando i lavoratori a firmare individualmente il patto… Ci crediamo in diritto di far notare al sig. Prefetto di Rovigo, che alla fine dei conti, i funzionari non sono pagati dalle casse dell’Associazione agraria, ma bensì, per quanto mal volentieri, un po’ anche da noi.
Sul piede di guerra
La lotta quindi non è cessata. Nella stessa Rivà, ove qualcuno ha firmato, più di 100 campi di terra sono ancora incolti ed i lavoratori hanno deciso, piuttosto che sottostare alla spietatezza dei propri padroni, di abbandonare il paese, per portare altrove il loro grido di maledizione e di vendetta. Ad Ariano la situazione appare ancora più critica perché gli organizzatori non tacciono il loro disegno di riprendersi la rivincita. Potrebbero essi, che hanno dato prova di tanto sacrificio e di tanta fede, passare sotto le forche caudine di agrari, decisi, qualora fosse loro possibile, di sopprimere nei lavoratori qualunque aspirazione di elevamento? Potrebbero essi dichiarare la fine dell’organizzazione, in cui tante speranze si raccolgono, in cui la passione pratica in un avvenire migliore è stata fomentata, e dove i diseredati hanno costruito i segni sicuri della loro fede operante, hanno ritrovato le armi più proprie e creatrici? Sbagliano gli agrari se così pensano. Noi possiamo guardare agli avvenimenti con la serenità che ne viene dalla nostra causa e dalla forza che è in noi. Nessuno può e deve prenderci né con le lusinghe né con le violenze. Senza ubbidire ad impulsività intempestive, i lavoratori sono decisi, prima o dopo, a difendere i loro diritti. Non v’è osceno settarismo che possa farli piegare nell’ora della prova. Essi già gridano un’immensa volontà di battaglia”.

Corriere del Polesine 27 maggio 1912. La bufera degli scioperi è passata
“Lo sciopero agrario della zona di Ariano si è chiuso, dopo quello di Rivà, in modo soddisfacente per tutti. La bufera è passata lasciando intatta l’autonomia dell’agricoltura e la libera scelta della mano d’opera; i lavoratori si contentarono delle migliorie economiche concesse ancor prima dello sciopero attuato nella sera e nella notte del 22 aprile scorso. Le rappresentanze delle leghe di Rivà e di Ariano avevano fatto chiedere l’intervento del R. Commissario Distrettuale di Adria Conte Condulmer per firmare il patto colonico già concordato per Taglio di Po ed a tale scopo era stata fissata la riunione per mercoledì 24 aprile 1912.
Ma all’ultimo momento proclamarono lo sciopero rompendo la tregua slealmente, sperando di forzare la mano per la famosa preferenza. Dai banditori dello sciopero il momento era ritenuto propizio poiché si sperava che il Governo, così impegnato nella guerra in Libia, (1) si sarebbe trovato imbarazzato a tutelare la libertà del lavoro e a reprimere le violenze. Ma gli agricoltori si rifiutarono di trattare con persone che non vollero mantenere fede alle promesse, e il R. Commissario tutelò l’ordine e la libertà turbata incivilmente. La lega più turbolenta, quella di Rivà, fu ben controllata da un modesto numero di carabinieri sotto la direzione dell’energico delegato Di Mizio dott. Gennaro. I primi ad abbandonare lo sciopero furono i bovai, ben accolti dai padroni, e indi gli avventizi che, messi in disparte i capi lega, richiesero l’opera pacificatrice del delegato Di Mizio e col suo intervento firmarono i patti colonici. Il R. Commissario inviava ad Ariano il Di Mizio, vista la buona prova data, che riusciva ad eliminare anche qui ogni dissidio: ciò che si sarebbe ottenuto prima se gli agricoltori di Ariano avessero mostrato maggior concordia e solidarietà fra loro.

(1) Giovanni Giolitti, pur restio alle conquiste coloniali, mettendo a frutto le garanzie ricevute da Francia e Inghilterra, decide di dar corso ai piani per la conquista delle Tripolitania e della Cirenaica. Il 27 -9- 1911 l’Italia rivolge un ultimatum alla Turchia richiedente il consenso all’occupazione di Tripoli e, ricevutane risposta negativa, il 29 settembre inizia, con le truppe del generale Carlo Caneva, l’occupazione dei principali porti libici. Il 5 novembre, mentre proseguono le operazioni di guerra, proclama l’annessione della Libia. Costantinopoli è costretta a trattare. Con la pace di Losanna (18-10-1912) è riconosciuta la sovranità italiana sulla Libia.

La Lotta proletaria n. 22, 1 giugno 1912. La resistenza proletaria trionfa ad Ariano
La suddivisione delle terre concesse agli operai - Miglioramenti salariali - Riconoscimento dell’organizzazione
“Gli operai organizzati ad Ariano possono dire di aver chiuso la loro battaglia con la stessa dignità e con lo stesso onore con cui l’aprirono. Almeno per la parte più interessante delle nostre pretese, i padroni hanno dovuto cedere. E come non dovevano dinanzi alla volontà operaia che si esprime, s’irraggia e s’illumina col sacrificio? Gli operai hanno vinto attraverso un duplice aspetto: materiale e morale. In quanto al primo: il “Corriere del Polesine” del 7 maggio riferendo sulle trattative ad Adria, diceva che le medesime erano fallite perché gli operai insistevano su queste domande:
a) Istituzione di una commissione mista che sorvegliasse l’applicazione imparziale dei patti e l’equa distribuzione dei terreni. b) Limitazione d’uso delle macchine. c) Immediata riforma del patto bovai ed obbligati. d) Non dar corso ad alcuna delle disdette individuali date ai bovai e agli obbligati.
Orbene nel patto concluso ad Ariano per le terre i proprietari concedono non la commissione mista che sorvegliasse ma addirittura la suddivisione da parte degli operai. Inoltre è stato fissato che saranno migliorati i salari per i lavori ad economia, che nessuna rappresaglia verrà eseguita in conseguenza dello sciopero.
Se si bada che l’agitazione, sin da principio, verteva sull’equa distribuzione delle terre, per cui si voleva da parte nostra la preferenza alla mano d’opera organizzata (gli iscritti alla Lega), se si bada ancora che col patto di Taglio di Po sulle percentuali del granturco i lavoratori di Ariano sono riusciti a conquistare 5 quintali in più, e cioè dal 25 al 30 per cento, noi abbiamo il diritto di riconoscere la nostra vittoria materiale!

Per la parte morale, se amassimo seguire l’indecoroso contegno degli agrari di Rivà, potremmo far loro addirittura le condoglianze. Concludendo: Gli operai organizzati di Ariano hanno avuto inoltre la soddisfazione di osservare due uscite di scena: l’una del signor Poggiolini che dietro ai secchi inviti da parte degli stessi proprietari, dovette ritirarsi; l’altra della commissione guidata dall’avv. Rocchi, giudicato da ogni persona di buon senso un anacronismo rispetto ai tempi che corrono, con la sostituzione di una commissione di agrari che, se non altro, hanno la maniera di trattare. Questo è l’epilogo dell’agitazione, per la quale la stampa democratica, il Gazzettino e l’Adriatico seppe mantenersi serena ed equa nel giudizio.
Potremmo anche dire, che verso l’ultimo, l’autorità di pubblica sicurezza nella persona del dottor Di Mizio si mantenne neutrale, contribuendo alla cessazione del conflitto. Ed ora per la salute degli agrari, è necessario far rilevare un fenomeno strano che si è verificato nell’agitazione. Il Corriere del Polesine nel n. 2 del 22 aprile pubblicava un articolo dell’ameno Poggiolini nel quale dichiarava il formale accordo avvenuto nel Basso Polesine e, vedi caso, la sera stessa scoppiava lo sciopero generale nell’isola di Ariano. Nel numero del 14 maggio il medesimo foglio pubblicava in prima pagina che lo sciopero era stato composto per far venire invece la voglia agli operai di non firmare nessun patto, talché nel medesimo numero, seconda pagina del Corriere, è costretto a dichiarare che l’agitazione persiste e che le terre non vengono concesse. Non ci voleva che questo perché i proprietari non solo concedessero le terre ma firmassero il patto di cui sopra”.

Corriere del Polesine 25 giugno 1912. Gravissimi tumulti e sciopero generale ad Ariano
“Ieri per ordine dell’Autorità Giudiziaria venne dichiarato in arresto certo Tumiatti imputato di gravi violenze e di sequestro di liberi lavoratori nello scorso sciopero agrario. Sparsasi la notizia, oltre un migliaio di lavoratori capitanati da alcuni mestatori si recarono davanti dalla caserma dei CC. reclamando la liberazione dell’arrestato col solito grido molla, molla! Il maresciallo si barricò in caserma deciso a difendersi con gli altri militi mantenendo l’arresto. La folla infuriata allora si recò sull’argine del Po, tagliò i fili del telefono e atterrò i pali del telegrafo per interrompere le comunicazioni col Commissario di Adria. La massa dei lavoratori tumultuò davanti al Municipio fimo a tarda notte. I lavoratori di campagna, riunitisi in lega, dichiararono lo sciopero generale abbandonando la mietitura. L’accordo quinquennale è stato violato. Le autorità locali sono state informate in ritardo. L’arrestato venne tradotto a Rovigo.  Sono partiti rinforzi di carabinieri per Ariano. Il Prefetto ha dato affidamenti sicuri per la tutela dell’ordine pubblico e perché la legge sia rispettata”.

Corriere del Polesine 26 giugno 1912. Ad Ariano è tornata la calma
“Essendo arrivato un buon nerbo di carabinieri la quiete si va ristabilendo. Ieri i leghisti avevano deciso di legare i soli covoni mietuti e di non proseguire il taglio del rimanente frumento, convinti che l’arresto del Tumiatti dipendesse dall’autorità politica. I proprietari erano ritenuti i capri espiatori. Ma gli agrari sono arcistufi delle continue altalene di questa lega che ormai fa il bello e il cattivo tempo ad Ariano. Il tatto del capitano dei CC. Nazari, del delegato Di Mizio e del tenente della stazione di Adria è valso a mutare la situazione e stamane, dopo il divieto degli assembramenti, i lavoratori hanno ripreso la mietitura che in pochi giorni sarà, salvo incidenti, ultimata. Il Sottoprefetto di Adria, Conte Condulmer, aveva dato disposizioni severe di tutela dell’ordine pubblico e di indagare sugli autori del taglio dei fili del telefono e del telegrafo”.

Corriere del Polesine 28 giugno 1912. Echi dello sciopero di Ariano. Smentita ad una smentita
“L’Avanti! smentisce l’Agenzia Stefani sui fatti di Ariano. Io, Piero Finotti, rappresentante della Stefani, dichiaro che le informazioni telegrafate a Roma e trasmesse ai giornali con i quali corrispondo, erano le stesse mandate dalle autorità locali e da me accertate presso varie persone di Ariano. Io e non uso l’esagerazione né trasmetto fatti non avvenuti. Confermo d’aver detto la verità. (1)


(1) La Stefani era un’Agenzia italiana di informazioni, fondata nel 1853 a Torino. Trasferitasi prima a Firenze e poi a Roma, sviluppò la propria attività assumendo la funzione di agenzia ufficiosa del governo. Trasformata nel 1920 in società anonima, dal 1925 divenne organo ufficiale del governo fascista. Passata dopo l’8 settembre 1943 al servizio della repubblica di Salò, alla liberazione venne sostituita dall’ANSA (Agenzia Nazionale Stampa Associata), una cooperativa di 36 soci, editori dei principali quotidiani italiani, con il compito di raccogliere, pubblicare e distribuire informazione giornalistica.

Corriere del Polesine 29 giugno 1912. La quiete è tornata
“La quiete è ritornata completamente. La mietitura ferve laboriosa. Si riscontra solo qualche deplorevole cattiveria, come quella dei cavicchi di legno piantati nei campi ove lavorano le falciatrici”.

Corriere del Polesine 29 giugno 1912. Sul taglio dei fili del recente sciopero di Ariano
“Il Sindaco di Ariano avv. Gaetano Pavanati così ci disse dei fatti avvenuti. I disordini sono stati provocati dall’arresto di quel tale Tumiatti che l’Autorità Giudiziaria poteva risparmiare non fosse altro perché non potesse servire di pretesto a dimostrazioni. Io mi trovavo a Bologna e a mezzo di telegramma fui chiamato ad Ariano, dove mi recai subito. I dimostranti tagliarono vari fili telefonici e telegrafici e ne è prova il fatto che si dovette comunicare per la parte di Mesola non potendolo fare per la linea di Adria, la quale appunto ha patito i vandalismi. E l’Avanti e La Lotta aprano le loro inchieste e che si affannino a smentire la verità!”.

Corriere del Polesine 3 luglio 1912. Polemica con l’Avanti!
“L’Avanti! pubblica ancora mezza colonna sui fatti di Ariano. Oggi è la volta dei risultati dell’inchiesta della Camera del Lavoro di Ariano Polesine! La conclusione è che i fili sono stati tagliati non dalla folla, ma da un sicario dell’Agraria. Così sarebbero stati gli agricoltori che hanno piantato le caviglie (cavicchi di legno) per tentare di guastare le falciatrici. Tutta una macchinazione diabolica messa insieme dagli agrari!”.

La Lotta proletaria n. 27, 6 luglio 1912. Lo sciopero generale ad Ariano e la reazione
I prodromi
“Gravi provvedimenti si andavano maturando ad Ariano. In tutti vi era il presentimento che la polizia, così sfacciatamente partigiana durante lo sciopero, prima o poi non avrebbe mancato di creare con la reazione la rivincita dell’Agraria. Il 10 giugno il Gazzettino pubblicava una corrispondenza da Ariano in cui vivacemente si lamentava che nei campi si ponessero delle caviglie per rovinare le falciatrici. La notizia era stata fornita al corrispondente del Gazzettino dal maresciallo dei carabinieri di Ariano, dietro denunzia che costui aveva ricevuto da alcuni agrari. In realtà la cosa, sia fra i lavoratori che in paese, era ignorata.  È chiaro che così si voleva preparare l’opinione pubblica a qualche solenne montatura poliziesca. In Italia non si usa altrimenti!”.
L’arresto del Tumiatti
“Verso le 8 del 24 giugno veniva arrestato in piazza il contadino Tumiatti. Si dice che questi in caserma poiché protestava venisse battuto e insultato, ma la notizia, già riportata dalla Lega, non è stato possibile accertarla.
In seguito, se vero, questo turpe episodio verrà anche alla luce. È certo intanto che il Tumiatti veniva illegalmente arrestato. Egli doveva rispondere di un voluto reato contro la libertà del lavoro, commesso il 24 aprile, cioè precisamente due mesi prima. Egli non poteva più subire la detenzione preventiva. Il codice di procedura stabilisce che trascorse le 24 ore dalla consumazione di un simile reato, l’arresto non è possibile. Ma quando un commissario di P.S. per giunta Conte, si pone in testa la guerra all’organizzazione, trova sempre un procuratore del re che lo serve per la sua libidine reazionaria. La legge in questo caso ha un valore relativo. E si applica solamente quando si tratta di colpire i villani. Si ha inoltre un altro motivo che depone contro l’arbitrio poliziesco. Il Tumiatti non poteva essere arrestato anche perché per il reato che gli si addebitava, la pubblica sicurezza non aveva indizi precisi. Denunziato dal proprietario Mantovan, già con lui in rapporti molto tesi per ragioni di famiglia, il Tumiatti ha a suo carico un solo teste, bovaio, che nella deposizione si dimostrò incerto e timido. Ragione per cui l’autorità giudiziaria, conscia dell’enormità cui andava incontro, spiccava mandato di cattura contro il Tumiatti per essere inteso dal giudice istruttore.  E poi si negano i rapporti retrivi che passano tra magistratura e polizia. Perché allora non usare il mandato di comparizione? Mandato che ora si usa verso il Barchetta, capolega, il Campagnoli ed altri per i quali era stato stabilito anche l’arresto. Agraria e polizia avevano premeditato un agguato contro l’organizzazione. Ma questa seppe ricacciare nel vento il poco sapiente e maligno castello reazionario, scoprire l’attacco insidioso per sventarlo”.
Lo sciopero generale
“La povera gente non capisce le sottigliezze procedurali e non conosce certa arte volpina di cui si ammantano le camarille (consorterie reazionarie) a suo danno, ma gode di un istinto molto fine per avvertire le mosse dei suoi avversari. Quando ad Ariano verso le 13 si sparse nei campi la cattiva notizia che era stato arrestato il compagno Tumiatti, i lavoratori compresero senza saperlo spiegare che ciò rappresentava un arbitrio poliziesco in conseguenza dello sciopero passato. Si ricordava l’ormai famoso commissario Condulmer, prepotente strumento dell’Agraria durante lo sciopero, intimidatore e violento nelle trattative. Una parola d’ordine, con lunghe imprecazioni, si sparse per i campi. L’anima operaia offesa nel suo più alto sentimento, la solidarietà, vibrava minacciosa e terribile. Lo sciopero generale agricolo venne dichiarato e a torme i contadini ritornavano nel paese a manifestare la protesta e il loro proposito che il compagno fosse ridonato alla libertà.
Bisogna dire che intanto le stesse autorità comunali, preoccupate delle conseguenze dell’arresto, a tutti apparso inopportuno e ingiustificabile, spedivano telegrammi al Commissario, perché si provvedesse al rilascio. Invece il Condulmer, a cui premeva che ad Ariano si verificassero gravi fatti, non rispose né a quei telegrammi né ad altri spediti dal maresciallo. Alle 20 la piazza era piena di gente chiedente a gran voce la restituzione del Tumiati, però nessuno può dire che si siano verificati danni o abbiano avuto luogo disordini. La dimostrazione rimase una semplice dimostrazione. Ma in Italia, dove il giornalismo o vive dalla greppia o ha il preciso dovere di essere vile, ha fatto passare, con grande giubilo degli agrari, i dimostranti di Ariano per dei rivoltosi”.
Un momento terribile
“Una commissione operaia chiese al maresciallo il rilascio dell’arrestato. Si capisce che si faceva troppo affidamento sulla mitezza e sulla remissività della massa perché si respinse risolutamente, nonostante che la situazione avesse potuto farsi critica, il desiderio di quasi l’intero paese. Qui anzi si verificò un incidente gravissimo di cui, naturalmente, nessun giornale ha fatto cenno, e che per poco non trasformò la pacifica dimostrazione in vera rivolta. Il maresciallo dei CC, uscendo dall’ufficio telegrafico con il socialista Leccioli, ad alcuni ragazzi che schiamazzavano gridava, puntando la rivoltella verso la folla: Tiratevi da parte, perché so chi devo colpire. Venite avanti se avete coraggio. Una di quelle inqualificabili provocazioni che formano spesso il preludio degli eccidi proletari. Fu un momento terribile. La folla, con un ruggito formidabile, si voleva riversare contro il municipio per far giustizia sommaria del folle, ormai fin troppo messa a dura prova. E si deve ai soliti mestatori, eterni, oh quanto eterni pacieri, che prontamente si posero dinanzi a consigliare la calma, se luttuosi fatti non si verificarono”.
La rottura dei fili
“Il Corriere del Polesine come doveva tacere così gravi incidenti, così doveva mentire sapendo di mentire. E scriveva che la folla infuriata, visto inutile ogni tentativo di liberazione dell’arrestato, infuriata si era recata verso l’argine del Po tagliando i fili del telefono ed atterrando i pali del telegrafo per interrompere le comunicazioni con il commissario di Adria. È necessario invece precisare che i pali vennero atterrati solo nella fantasia dell’informatissimo, e in quanto ai fili due soli ne furono tagliati. E non dalla folla che, al momento in cui l’impiegato all’apparecchio avvertiva in presenza del Leccioli e del maresciallo la rottura della comunicazione con Adria, si trovava in piazza a chiedere la liberazione del compagno. Contrariamente poi alla versione dell’informatissimo, la folla infuriata non si è mai riversata sull’argine del Po, a detta di migliaia di testimoni, e anche se fosse stato, i fili non furono tagliati sull’argine del Po, ma fuori Ariano, dal lato opposto al fiume. E sembra strano che la folla si doveva limitare a tagliare i soli fili che comunicavano con Adria lasciando quelli della linea di Ferrara! Chi fu a tagliare i fili? Certamente chi ci teneva a che si spargesse il sangue e la reazione prendesse dominio ad Ariano con l’arresto dei capi del movimento. E il fatto che ancora gli autori non si sono potuti trovare non è forse un segno che il vandalismo può portare la marca agraria?”.

Corriere del Polesine 15 luglio 1912. Ariano: comizio contro l’arresto dei capi leghisti
“Oggi alle ore 19 sulla pubblica piazza ha avuto luogo un comizio di protesta contro l’arresto dei capi leghisti di questo centro (Barchetta Luigi, Campagnoli Cesare, Colla Ermenegildo, Telloli Umberto, Veronesi Luigi, Zanella Aristide) in seguito ai fatti avvenuti durante lo sciopero.  C’erano carabinieri al comando del capitano di Rovigo e il delegato dottor Di Mizio dirigeva il servizio d’ordine. Parlarono il segretario della Camera del Lavoro di Donada, di Codigoro, di Ferrara e di Bologna. Era stato preannunciato l’arrivo dell’on. le Marangoni e della signorina Argentina Altobelli, ma non si fecero vedere. Si scagliarono contro l’Agraria ed il Vice Prefetto di Adria a cui si fa risalire la responsabilità degli arresti. Uno degli oratori eccitò i leghisti ad infrangere i patti recentemente concordati ed un altro promise di susseguirli di altri comizi allo scopo di ridurre all’impotenza l’Agraria del Polesine come si fece già nel Ferrarese. La folla accorse assai poca ed un po’ di réclame lo fece la fanfara ferrarese del limitrofo Arianino. Del resto ordine perfetto”.

La Lotta proletaria n. 29, 20 luglio 1912. La reazione continua ad Ariano
“Riuscitissimo il comizio di protesta ad Ariano contro la reazione che si è abbattuta sui capi del movimento. Domenica alle 18, assistevano in piazza, checché ne dica il giornale agrario, non meno di 2500 persone, nonostante che ad Adria vi fossero le grandi feste aviatorie. Aprì il comizio Enrico Meledandri che, facendo brevemente la storia dell’agitazione, mise in luce l’arroganza e la spavalderia degli agrari che si facevano forti dell’appoggio dell’autorità di pubblica sicurezza. Dimostrò come gli arrestati sono la conseguenza di macchinazioni poliziesche e agrarie onde rovinare l’organizzazione.  Lo seguì Agarini, e indi Zannoni, che portò il saluto e la solidarietà della Federazione Nazionale dei contadini. In ultimo Michele Bianchi tenne un forte discorso incitando i lavoratori alla resistenza e alla solidarietà. Tutti gli oratori suscitarono grande entusiasmo. Alla fine del comizio, nel locale della lega, ebbe luogo un’adunanza degli organizzati presieduta dal Meledandri per il rinnovo delle cariche rimaste vacanti in conseguenza degli arresti. Le nuove nomine ebbero luogo per acclamazione”.

Corriere del Polesine 23 agosto 1912. Processo dei leghisti di Ariano
“Nell’udienza pomeridiana di ieri prese la parola il secondo difensore, Pozzato. Fatto un accenno alle passate agitazioni agrarie e alle cause che promossero quella recentissima di Ariano Polesine, l’oratore si soffermò in linea di diritto sul reato di sequestro di persona e di violenza privata dimostrandone l’infondatezza in relazione ai fatti imputati al Tumiatti. Associandosi perciò alle conclusioni prese dalla parte civile, chiese di considerare il solo reato di attentato alla libertà del lavoro, invocando una sentenza mite. Dopo le 16 il Tribunale pronunciò la sentenza con la quale, accogliendo la tesi della Parte Civile avv. U. Merlin, dichiarò il non luogo a procedere per il sequestro di persona. Per le violenze e l’attentato alla libertà di lavoro, condannò il Tumiatti a mesi 10, giorni 25 di reclusione, a £ 166 di multa e al risarcimento dei danni. Assolse gli altri tre per non provata reità.

La Lotta proletaria, 24 agosto 1912, n 34. Il primo processo per i fatti di Ariano Polesine
“Giovedì 22 corrente si svolse davanti al Tribunale di Rovigo il primo dei processi imbastiti in seguito agli scioperi di Ariano Polesine. Il Tribunale è costituito dai signori: Ceccato, presidente; Zuliani e Monga giudici; P.M.  il sostituto procuratore del re Ridolfi; cancelliere Capello. Siedono alla difesa gli on. Genuzio Bentini e Italo Pozzato (1). La Parte Civile, nell’interesse di Armari Antonio, è rappresentata dall’avv. Umberto Merlin. Sul banco degli accusati siedono Tumiatti Emilio, detenuto fino dal 24 giugno, Pavanini Vittorio, Siviero Fortunato, Gramolelli Luigi, liberi, imputati:
1.del delitto previsto dall’art. 154, I parte, Cod. Pen. Per avere di correità tra loro e con altri finora sconosciuti, in Ariano, il 23 aprile, durante lo sciopero, mediante violenza e minacce costretti Armari Luigi e Antonio, bovai di Mantovani Francesco, ad abbandonare la stalla del padrone ed a seguirli alla Camera del Lavoro, per impedire loro di accudire al governo dei buoi;
2. del delitto previsto dall’art. 146, I parte, cpv. I, Cod. Pen, per avere privato i detti bovai della libertà personale, trattenendo l’Armari Antonio nella Camera del Lavoro fino a sera, e l’Armari Luigi fino al giorno successivo.
Interrogatorio degli imputati
Tumiattti: esclude che i coimputati fossero della comitiva che andò alla casa degli Armari per persuaderli con le buone a recarsi nella sede della Lega. Nega le minacce e le violenze. L’Armari Antonio tornò subito a casa, il figlio vi restò fino al giorno successivo. Afferma che i bovai avevano deliberato lo sciopero, e che in seguito a ciò furono mandati a chiamare gli assenti. Pavanini, Siviero, Gramolelli non erano presenti ai fatti.
Interrogatorio delle parti lese
Mantovani Francesco: è il padrone dei bovai Armari. È stato chiamato alla bovaria giacché i suoi dipendenti erano stati condotti alla sede della lega. Vi andò. Trovò il toro abbandonato a sé stesso. La moglie dell’Armari Antonio gli raccontò che con le violenze, e dopo una colluttazione, i bovai erano stati condotti alla lega. L’Armari Antonio gli disse che era stato afferrato alla giacchetta dal Tumiatti, l’unico che riconobbe. Tornati a casa, ripresero il lavoro nonostante lo sciopero continuasse, e non furono più disturbati.
Armari Luigi: alle 6 del 23 aprile stava lavorando, quando giunse una comitiva con a capo Tumiatti Emilio. Suo padre era a letto indisposto, le donne erano in casa. Fu invitato ad andare alla Lega col padre. Essi rifiutarono perché non erano in Lega. Tumiatti allora afferrò suo padre, disceso in cortile, per la giacca, ed egli lo difese con la forca. Poi trovarono più opportuno seguire la comitiva, e si recarono alla Lega. Il toro lo sciolse per spaventare i leghisti. Restò alla Lega fino al giorno successivo; suo padre fu rilasciato perché mandato a chiamare per mezzo del maresciallo, a mezzo della moglie.
Armari Antonio. Era a letto quando fu avvisato dalla moglie che c’era un gruppo di gente. Si alzò e andò nella stalla. Fu invitato ad andare alla Lega e si rifiutò, fu afferrato per la giacca dal Tumiatti. Il figlio intervenne con la forca, ed egli lo consigliò a cedere. Il toro lo liberarono perché spaventasse la comitiva dei leghisti. Durante il tragitto nulla avvenne. Alla lega furono presi in nota. A mezzodì sua nuora lo venne a chiamare a nome del maresciallo, ed egli uscì senza opposizioni. Su domanda della P.C. si richiama il proprietario Mantovani per chiarimenti sulle cause dello sciopero, per dimostrare che la classe dei bovai non c’entrava.
Interrogatorio dei testimoni
Trapella Teresa. È moglie di Armari Antonio, e conferma la deposizione del marito.
Fornari Luigi. Maresciallo dei RR.CC. Fu avvisato dal Mantovani del sequestro dei due bovai dove dalle donne seppe della scena avvenuta. Tornato in caserma, mandò la moglie del Tumiatti Antonio alla lega a chiamare il marito, che fu subito rilasciato. Al dopo pranzo andò in lega ad invitare ad uscire chiunque non appartenesse alla lega e vi fosse trattenuto contro la sua volontà. Nessuno gli rispose.
Il giorno dopo Armari Luigi gli si presentò e gli disse che in lega non aveva risposto per paura di rappresaglie. Il maresciallo denunciò Pavanini, Siviero, Gramolelli perché i nomi gli furono dati dal Tumiatti. Dice delle ragioni dello sciopero: i lavoratori pretendevano che fosse data la preferenza alla mano d’opera organizzata, dei miglioramenti sui patti di lavoro, e il diritto di ripartizione delle terre a compartecipazione. Poi i lavoratori accettarono i miglioramenti offerti dai padroni.
Suppi Luigi. Fu pregato dalle autorità di tentare una conciliazione, ed accettò l’incarico. Andò alla lega e vi trovò molti bovai che erano contenti perché erano trattati bene. Dissero che erano nella sede della lega di loro volontà. Vorrebbe parlare del contegno degli scioperanti, del padrone e delle autorità, ma il Presidente non lo permise.
Parla la Parte Civile
L’avv. Merlin abbandona l’accusa per i gravi reati di cui agli articoli 154, I parte, e 146, I parte e I capoverso, Cod. Pen. E si limita a sostenere la responsabilità per il reato di cui all’art. 166, che riflette l’attentato contro la libertà del lavoro. Ritesse la storia dei fatti e dimostra l’esistenza del delitto di cui all’art. 166, a carico di tutti e quattro gli accusati.
La requisitoria del Pubblico Ministero
Non è d’accordo con la conclusione della P.C. Riassume i fatti e le deposizioni delle parti lese, e ne trae argomento per dimostrare la responsabilità del Tumiatti. Dichiara non provata la responsabilità degli altri accusati e ne chiede l’assoluzione. In quanto al Tumiatti domanda che sia dichiarato colpevole dei reati ascrittigli e che sia condannato ad anni 4, mesi 6 di reclusione ed a lire mille di multa.
Le difese
Prende la parola per primo l’onorevole Bentini. È d’accordo con la P.C. sulla figura del reato di attentato alla libertà del lavoro, e dagli elementi della causa trae le ragioni per sostenere la sua tesi. La giurisprudenza è pacifica nell’ammetter che i reati di cui agli articoli 156 e 146 non esistano quando sono effetto d’uno sciopero d’indole economica, e che in tale senso si deve parlare del reato contro la libertà del lavoro previsto dall’art. 166. Tumiatti deve essere condannato per questo titolo. È d’accordo con il P.M. per l’assoluzione degli altri imputati. La serena e convincente difesa dell’avv. Bentini desta profonda commozione. L’udienza è rinviata.

Riaperta l’udienza, prende la parola l’on. Italo Pozzato. A questo punto presenta un quadro esattissimo della condizione economica del proletariato polesano prime delle sue lotte per la conquista d’un pane più abbondante; accenna ai miglioramenti ottenuti dal proletariato del medio ed alto Polesine per virtù della sua organizzazione, mentre quello del basso restò solo a soffrire. E prova con cifre inoppugnabili la misera condizione di esso. Esamina i fatti addebitati agli odierni accusati, e luminosamente dimostra che questi avevano un fine unico e determinato: impedire l’opera dei bovai per accrescere forza allo sciopero ed assicurarne il trionfo. Ecco prospettarsi la figura di un reato diverso da quello concretato dall’accusa, il reato contemplato dall’art. 166 Cod. P. Ed il bravo difensore conforta la sua tesi con tre sentenze del Tribunale di Rovigo, col giudizio del Carrara e di altri giureconsulti, e con una sentenza della suprema Corte di Cassazione. Chiude invocando una sentenza giusta ed umana che dichiari il Tumiatti soltanto colpevole del reato di attentato alla libertà del lavoro, e gli infligga una pena che presto lo ridoni alla libertà e alla famiglia. La difesa dell’on. Pozzato è accolta con manifesta simpatia dal pubblico.
La sentenza
Il Tribunale, dopo essere restato un’ora in Camera di Consiglio, esce, e pronuncia una sentenza che assolve Pavanini, Siviero e Gramolelli, e condanna, accogliendo in parte la tesi della P.C. e della difesa, Tumiatti a mesi 10, giorni 25 di reclusione ed a lire 160 di multa, danni alla P.C. e spese”. (1)

(1) Cenni biografici sugli avvocati difensori degli imputati. Genuzio Bentini, nato a Forlì nel 1874, ebbe una vita politicamente intensa e turbolenta. È ricordato per il suo impegno sociale e l’aperto sostegno alle agitazioni dei lavoratori, per cui subì l’arresto e il carcere. Dopo la laurea in giurisprudenza all’Università di Bologna con una tesi sul “reato di sciopero”, intrapresa la professione di avvocato penalista e rafforzò il suo orientamento socialista.  Nelle elezioni politiche del 1904, ad appena trent’anni, fu eletto deputato. Alle politiche del 1921 fu rieletto nelle liste del PSI e nel giugno del 1925, a Lugano, commemorò l’anniversario dell’assassinio di Giacomo Matteotti, attirandosi ulteriormente le antipatie del regime che lo costrinse a cessare l’attività politica ma che, tuttavia, gli permise di restare in Italia e di svolgere la sua professione. Fu autore di diverse pubblicazioni. Morì nel 1943. Italo Pozzato (Rovigo 1 gennaio 1862 -  Genova 8 agosto 1949) difese nelle aule dei tribunali i perseguitati per le loro idee politiche. Fu eletto, col Partito Repubblicano, nelle amministrazioni locali e al Parlamento nazionale per tre legislature. Testo della lapide murata nella sua casa natale dal comune di Rovigo: “Italo Pozzato – al Polesine e a questa città da cui ebbe umili natali – e che lo acclamò Sindaco – all’inarrestabile progresso umano – per l’elevazione degli umili e dei lavoratoti dedicò – nei comizi nei tribunali nel Comune nel Parlamento – tutto il suo patrimonio di cultura d’intelletto e di bontà – conseguendo – sereno e fedele all’idea anche nelle ore buie – consensi e conquiste per la sua gente”.

La Lotta proletaria, 13 luglio 1912, n 28. Arresto dei capi del movimento operaio di Ariano
Enrico Meledandri scrive:
“La reazione, che il 24 giugno non poté sfogarsi dato l’atteggiamento energico della massa di Ariano, ha avuto là stanotte il sopravvento. Verso l’una, Barchetta Luigi capolega e con lui tutti i capi del movimento sono stati arrestati.  La pubblica sicurezza nelle operazioni si è abbandonata ad ingiurie scurrili ed a violenze inaudite verso le donne che piangenti protestavano. Un delegato ha detto persino che financo la radice dell’organizzazione si vuole recidere. Enorme lo stuolo dei carabinieri e dei poliziotti. Questo attacco contro le forze operaie di Ariano, scopre l’infame macchinazione poliziesca voluta dagli Agrari, a cui tiene bordone il Prefetto. Non è qui l’episodio fuggevole di uno scontro, la repressione che scatta dinanzi ad una minaccia. Qui si adopra pacatamente ogni accorgimento repressivo contro una classe che, entrata nei quadri dell’organizzazione, non si muove che nell’ambito del suo diritto, non vince che con l’uso normale delle sue forze. La sopraffazione compiuta stanotte contro il sindacato di Ariano è la conclusione violenta di un piano reazionario che vuole demolire la trama delle forze operaie per favorire lo sfruttamento della cricca agraria provinciale. È tutta un’insidia escogitata da mesi e attivata con metodo sottile, silenzioso e perseverante. Il governo democratico non inscena l’episodio clamoroso: fa la reazione; non scioglie le leghe ma vuole intimidire gli organizzati e spaventare le donne. È la vigliaccheria della reazione, cioè la funzione decadente democratica di un governo”. Il giornale prosegue denunciando l’eccezionale gravità dei fatti descritti dal Meledandri e richiama su di essi l’attenzione della Direzione del Partito socialista e della Federazione Nazionale delle Leghe: “Si sono aspettati tre mesi prima di passare agli arresti. Urge un’inchiesta serena ma severa. Il Polesine è una terra che, mentre condanna la violenza da parte del proletariato, non permetterà mai che trionfi la reazione. Né violenze né reazione, ma libero e sereno svolgimento dell’azione proletaria: ecco la bandiera del Polesine che lavora”. È la debole voce dell’ala riformista del sindacato.

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